AGICOM24 – Sebastiano Cultrera – Non è un giallo, come quello di Gadda, ma è una vicenda che deve fare riflettere ed incrocia il passato dell’isola di Procida con il futuro.
È accaduto spesso, a Procida che importanti famiglie abbiano, nei decenni (e secoli) passati, donato immobili ad Enti di beneficenza, soprattutto ecclesiastici. Tra tutti ricordiamo il caso della donazione (alcuni decenni fa) di ingenti proprietà (tra cui l’isolotto di Vivaro) da parte della famiglia Scotto La Chianca all’Ente Albano francescano. Quella donazione ha dato, poi adito ad una lunga contesa giudiziaria, fino alla definitiva (ri)acquisizione agli eredi di quella famiglia, di quel patrimonio, a causa di dimostrate (e riconosciute giudiziariamente) inadempienze dell’Ente gestore.
A Via Marcello Scotti un’altra importante famiglia procidana, quella degli Scotto di Pagliara (che hanno annoverato armatori, e uomini di chiesa e di cultura) donò ad un Ente religioso (legato alla devozione della Madonna dell’Arco) una intera villa-palazzo per fini benefici. Tale struttura è stata gestita per anni dai frati dell’Ordine dei Predicatori. E ricordiamo tutti frotte festanti di ragazzi che venivano, negli anni a fare gioiose vacanze marine in quella struttura. Il palazzo-villa Scotto di Pagliara è stato crocevia di tante “colonie estive” di tante generazioni di orfani o ragazzi poco abbienti assistiti dai frati.
La Villa Scotto Pagliara, in Via Marcello Scotti, nasce come residenza dell’omonima famiglia di armatori procidani. Nel 1957, dopo che l’edificio era stato, per diversi anni, sede dell’Hotel Miramare, Matilde Scotto di Pagliara lo donò, mediante Disposizione Testamentaria, all’ Ordine dei Frati Predicatori Domenicani di Napoli.
Adesso non sappiamo se la vicenda di Vivaro e dell’Albano Francescano abbia fatto diventare tutti più prudenti, ma fatto sta che l’Ordine, recentemente, ha operato una stretta e accentuato il controllo sulla destinazione dei propri beni, in particolare, proprio sulla Villa Pagliara. E ha cominciato a mettere i puntini sulle i su alcune cose che non andavano, onde evitare derive che nulla avevano a che fare con i fini di beneficenze dell’ordine e neanche con la lettera del lascito testamentario. Ha revocato, quindi, alcuni incarichi fiduciari e rivendica il pieno possesso dell’immobile, oltre la prosecuzione dei lavori IN PROPRIO, in conformità con la pratica burocratica istituita.
Ciò al di là di altri contenziosi in atto che mirano a definire, anche giudiziariamente, la nullità di alcuni atti collaterali. Alla luce dell’esposto, si sostiene chiaramente che la titolarità delle autorizzazioni edilizie sia in capo all’Ordine stesso: venuto meno il rapporto fiduciario con il delegato pro tempore. Sembrerebbe che la revoca, sia avvenuta in seguito alla verifica di attività di carattere speculativo che esulano dalle attività dell’Ordine.
L’esposto-denuncia ha un antefatto, perché, ad inizi di luglio, alle 10, arrivarono i Carabinieri davanti alla Villa Scotto di Pagliara, allertati dai padri domenicani di Madonna dell’Arco. Alcune persone, accedendo attraverso il cantiere dell’albergo Arcate, si sono introdotte in villa abbattendo le protezioni fatte istallare dalla proprietà.
I carabinieri identificarono gli operai della ditta che esegue i lavori di ristrutturazione per conto della Letmedo che esibisce i propri titoli e permessi a costruire ma che i Domenicani considerano illegittimi.
Anche il nome del direttore dei lavori che compare ora sulla tabella è stato modificato. Non è più l’architetta procidana Paola Esposito. Il suo nome appare cancellato mentre compare quello dell’arch. Caterina Musella
Sulla efficacia degli atti e nel merito della questione giudiziaria non entriamo, non avendo elementi e, soprattutto, in attesa di pronunce delle Autorità Competenti. C’è da dire che credo sia interesse della intera comunità preservare quell’immobile a delle finalità sociali e credo che chiunque si trovi a tutelare gli interessi pubblici, ad ogni livello, debba tenere conto anche di questo. La Storia di Procida non può correre il rischio di essere mercificata.