Napoli – L’appuntamento è per domani alla sala Nassiriya della Regione Campania in consiglio regionale per discutere della violenza sulle donne in un convegno dal titolo “D’Amore non si muore”.
C’è un paradosso crudele che si consuma ogni giorno, in silenzio, dietro porte chiuse e finestre sbarrate: l’amore, che dovrebbe essere un rifugio, si trasforma in una prigione. Le mani che un tempo accarezzavano diventano pugni. Le parole che un tempo erano dolci come miele si fanno lame taglienti. Ed è così che molte donne si trovano a vivere un incubo mascherato da amore, un luogo oscuro dove il cuore non batte più per passione, ma per paura.
In questo contesto, il convegno – che vedrà protagonisti, il ministro per le disabilità Alessandra Locatelli, Consiglieri Regionali, Consiglieri comunali, psicologi e rappresentanti del mondo associativo – “D’amore non si muore”, suona come un grido disperato, una preghiera lanciata nel vuoto, un monito che scuote le coscienze: perché l’amore, quello vero, non ferisce, non umilia, e soprattutto non uccide.
L’amore dovrebbe essere un vento leggero che libera le ali, e invece, per troppe donne, diventa una catena che stringe, una corda che soffoca, un veleno che lentamente distrugge. Ogni anno, in Italia, decine di donne vengono uccise da chi diceva di amarle, da compagni, mariti, fidanzati, uomini che hanno confuso il sentimento con il possesso, la cura con il controllo.
Come un fuoco che arde in una casa di legno, la violenza si insinua nelle relazioni, bruciando piano piano ogni speranza, ogni sorriso, ogni possibilità di fuga. E mentre le fiamme divorano tutto, molte donne rimangono intrappolate, incapaci di gridare aiuto, convinte, forse, che sia quello il prezzo da pagare per essere amate. Ma l’amore, quello vero, non è mai un debito.
“D’amore non si muore” è un pugno nello stomaco, un faro acceso nella notte buia della violenza di genere. È una dichiarazione di verità, ma anche una denuncia di tutte quelle menzogne che si nascondono dietro l’abuso: “Lo faccio perché ti amo”, “Sono geloso perché tengo a te”, “Sei mia e di nessun altro”. Parole che, come spine, si infilano nelle menti e nei corpi delle vittime, fino a convincerle che quella sofferenza sia normale, inevitabile, addirittura meritata.
Eppure, nessun amore dovrebbe mai trasformarsi in un carcere. Nessun amore dovrebbe mai lasciare lividi sulla pelle, né ferite invisibili nell’anima. “D’amore non si muore” ci ricorda che nulla, nemmeno il sentimento più profondo, giustifica la violenza. Perché l’amore è vita, non morte. È libertà, non schiavitù.
Ma la realtà è implacabile e parla con numeri che gelano il sangue. In Italia, una donna viene uccisa ogni tre giorni, spesso da qualcuno con cui condivideva il letto, la casa, i sogni. Nel mondo, 1 donna su 3 subisce violenza fisica o sessuale almeno una volta nella vita. Sono numeri che urlano, eppure il loro eco sembra spesso svanire nel rumore di una società che minimizza, che volta lo sguardo, che ancora fatica a chiamare le cose con il loro nome.
Ogni femminicidio è una rosa rossa che si spezza, un futuro che svanisce, una luce che si spegne troppo presto. Ma dietro ogni tragedia ci sono anche mille altre storie di violenza quotidiana, più sottili, più nascoste, ma non meno devastanti: donne che vivono costantemente con il fiato sul collo, con il cuore intrappolato in una morsa, con il timore che ogni parola sbagliata possa trasformarsi in un’esplosione di rabbia.
“La violenza contro le donne – ci dice Rosaria Cantagallo, Pres. dell’associazione “Una vita per la cultura” che da anni mette al centro delle proprie iniziative le donne – è come un veleno che si diffonde nella società, silenzioso ma letale. Non è un problema privato, è una ferita aperta che sanguina nel cuore del nostro tessuto sociale. E mentre alcune donne trovano il coraggio di denunciare, altre restano intrappolate in un muro di paura, vergogna e isolamento. La società ha il dovere di spezzare questo ciclo, di accendere una luce nelle tenebre. Non possiamo più tollerare che la violenza venga giustificata, minimizzata, ignorata. Ogni silenzio è complicità. Ogni volta che una donna viene lasciata sola, che una richiesta d’aiuto non viene ascoltata, la catena della violenza si rafforza”.
Non basta ricordare le vittime di violenza una volta all’anno. La Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne deve essere un punto di partenza, non un traguardo. Serve un impegno quotidiano, concreto, profondo.