Porfilio Lubrano Lavadera – Un commento, oppure chissà foss’anche già solo per una sorta di bozza da “elaborato peritale”, la disquisizione non sarebbe comunque mai potuta appartenere all’ambito dello stereotipo, del preconcetto – o più semplicemente –  del rientrante in impostazioni tradizionali/tipici da modelli imitabili, anche se difficili da emulare, susseguendosi di suoni, di movimenti, di posture e finanche di mimiche talmente belle, armoniche e profonde, da rischiare di dare adito addirittura al paradosso del vago “ sospetto “ di sofisticate simulazioni per storicizzazioni a ripetersi come meri corsi e ricorsi storici, in quanto tali senza alcun quid novi, con o senza contestualizzazioni particolari e caratterizzanti, quindi; pertanto la rappresentazione pur essendo parecchio complessa ( fino ad involgere lo sceverare i profili più reconditi di società consumistiche, con progressivo decadimento degli ideali e dei valori umani, ivi compreso quindi pure l’altro “ rischio “ della confusione, del caos troppo difficile da “ ordinare “  ) è riuscita ad affermarsi egregiamente, in modo puntuale ed omnicomprensivo: dunque un doveroso plauso e  complimento a chi è riuscito in tale obiettivo, come nell’evento de quo, con la danza a funzione sociale . Occorreva quindi – e c’è stata, in concreto – quella differenza edificante ed integrante la originalità e, talmente tanta,  da attirare il senso della attenzione oltre anche la sorpresa della “improvvisazione”, svincolandosi dal c.d. “ copione” pure per tale verso, pervenendo persino ad ingenerare confronti da dubbi costruttivi da multiverso e da metaverso ( la genuina “ ribellione identitaria “, in quanto tale si legittima sin già per riconosciuto spirito comunitario di appartenenza condiviso e condivisibile, per virtualità come per realtà comunque collegate ), certo è altresì che per la modernità si può ben essere concordi nel ritenerla risiedere/sussistere non soltanto nella tecnologia e/o nella scienza ma anche in diversi gradi di consapevolezze delle persone-microcosmi, espressive di stati di animo multiformi, mutevoli, altalenanti e variegati; pertanto tale “ postura interiore “ può ben legittimarsi da assunto di base per la profondità da flessibilità ermeneutica indotta fra attore e spettatore, fra osservatore ed osservato in tale evento, nell’intenso grado di coinvolgimento che ne è scaturito fra i presenti. Da tale scaturigine, tra l’altro, è sembrato quasi “deontologicamente “ doveroso fare un richiamo da assimilabilità filosofica al “ pantarei “, al tutto scorre eracliteo fino ad assorbire il – correlato – finalismo aristotelico, tanto traspariva evidente come idiomatico senso da spirito libertario, assumendosi fino ad assurgersi di identità in divenire per la insularità che vi si traduceva in suoni e movimenti variegati al punto da essere continua ricerca di armonia da raccordo fra autonomie che si intendevano di potenzialità, da esprimere di crescendo mentalità diverse ma condivise,  ovvero nella concretezza della coesistenza nelle persone di “ creazione, interpetrazione e l’essere spettatore “, nel discorso più ampio della funzione sociale della danza, ovvero come danza antropologica, tanto ha brillantemente esposto INSULA CORPOREA . Tanta dinamicità interiore, dunque, per tanta manifestazione ulteriore da esplicitare di crescendo fra coreografia ed improvvisazione, con target che si consolidava ex se, sicchè confermandosi continuamente di garanzia da massima rappresentatività alle diverse anime presenti ( con danze espresse sia da risorse umane locali procidane che extralocali), nel tratto pregnante della diversità come valore che arricchisce sin già dalla forza del niente, sicchè riempita finanche dello stato brado ( la “ provocazione” da estremizzazione concettuale rende ancora più chiara persino l’idea in divenire/movimento), dall’immenso dono della trasparenza, della solarità del fiore nel deserto e – della correlata – spontaneità al contempo; di talchè anche eventuali ansie, paure, stress e vicissitudini esistenziali di vario genere e specie, hanno potuto trovarvi ingresso, onde consentire la massima completezza espositiva/informativa-comunicativa, nel nudo e crudo d’anima con cui vi si esprimeva al cospetto del tutto come del niente che si riempie, ma mai del vuoto meramente fine e sterile a se stesso, inutile a rappresentarsi, quindi.  Insomma culture, tradizioni, usi, costumi, abitudini, arti, mestieri, esperienze varie e tutto quant’altro di precipuamente identitario è come si fossero sintetizzati – rappresentandosi – ed equamente contemperati in una sorta di “ corpus iuris “, in cui i diritti ed i doveri naturalmente insiti e connessi fossero andati a sostanziare un concetto di comunità nella comunità, ovvero come di una prospettiva globalizzante che però tutelasse e valorizzasse al contempo le identità delle componenti membra, con ogni persona/microcosmo, anche prospettandone dicotomie e contrapposizione, ma senza vie traverse, senza clandestinità giacchè  invece coniugate dall’armonioso sole della trasparenza rappresentativa della pari dignità di questa dimensione multietnica/multirazziale e del pluralismo culturale, della provenienza più variegata e libera, più in generale. In tale corpus, cosi andavano uniformandosi i comportamenti, inspecie i movimenti simbiotici con i suoni, ovvero in ossequio ad i dettami più genuini del diritto naturale, trasfondendosi di diritto positivo per naturale conseguita meritoria destinazione e convergenza. E’ come insomma si fosse creata una sorta di “giuridicizzazione” del democraticamente libero di espandersi come di conservarsi al contempo, attualizzandosi continuamente di funzione sociale ( comparando  diverse tipologie di società in progresso di tempo ) fra iniziative personali e di gruppo, tutte – parimenti – tutelate per il benessere interiore che comunque garantiva, trasparendo dai volti e dalla naturalezza dei gesti/movimenti, arrecandosi di triade suntiva dai criteri di adeguatezza, proporzionalità e ragionevolezza, tutto stipato nella insularità ampiamente e specificatamente intesa ed intendibile, dunque ragionevolmente a regola d’arte per essere rappresentazione  adeguata e proporzionale di energia aggregante. D’altro canto la genìa ermeneutica più risalente della evocazione della New York degli anni 60 ( “Judson Memorial Church al Greenwich Village” ) ne rappresenta la riprova probatoria della connotazione da assorbenza di tale evento, in considerazione di altro parallelo da pari dignità fra enormi realtà territoriali continentali e molto diverse e più piccole realtà insulari ( al cospetto  appunto della c.d. “ grande mela “ ,  territorialmente – chiaramente – infinitamente più piccole ), ma comunque unite grazie al materiale senso di sentirsi parte dello spirito d’assieme, pure quindi attraverso la danza, di dinamiche cosmopolite ( senza dispersioni inutili e dannose)  che in quanto tali, cementano le forze di coesione diversamente esistenti, riconoscendosi in tale universalità da valori di libertà, di uguaglianza e di umanità cosi ampiamente considerati e considerabili per il crescendo aggregativo che implicano; il tutto che unisce quindi, già solo danzando insieme, improvvisandosi continentali oppure isolani,   la canzoniera del sentire comune è già movimento di idee e di azioni che unisce ex se, lirica sopraffina che raccoglie i versi dell’educazione al saper stare insieme, poesia che armonizza, integra e  solidarizza le persone ed i popoli nei fatti, anziché nelle sole parole e nelle vacue esternazioni musicali, stanche già solo di ripetersi. Dunque, movimentarsi liberamente per la pace e per il rispetto dei profili identitari delle diverse comunità di riferimento, rispettando le rispettive autodeterminazioni democratiche, è già divenire che si esprime di amore per la vita, di res-publica, di bene collettivo e comune in cui riconoscersi di crescente maturità e responsabilità, senza grossolani laboratori, bastando invece già solo la materializzazione del senso della laboriosità nel prodigarsi di se stessi nel rispetto degli altri, a contenuto del bisogno di sentirsi parte di una comunità, anche restando – talvolta – silente limitandosi ad ascoltare, talaltra dare il proprio contributo in termini di esperienza diversa, il senso del pensiero del noi, effettivo suono che alimenta la splendida voce della partecipazione identitaria, estesa ai vari livelli del coesistere; tutto è in tutto giacchè tutto è in uno, come per lo splendido esempio dell’INSULA CORPORIS, nella meravigliosa cornice di PROCIDA CAPITALE DELLA CULTURA ITALIANA 2022. 

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