Leo Pugliese – La pandemia da Sars-Cov2, non è stata soltanto una catastrofe sotto il profilo sanitario e di limitazioni delle libertà a cui eravamo abituati, ma è stata anche la causa di gravi disordini nel comportamento psicologico della popolazione ed in particolare dei soggetti più fragili sotto l’aspetto emotivo. Ha determinato un forte aumento delle crisi di panico e delle depressioni con una scarsa propensione a progettare il futuro e a sviluppare investimenti. Tutto ciò ha determinato un clima crescente di insicurezza che ha avuto enormi ricadute sotto il profilo economico. E’ evidente che in tutte le catastrofi dell’umanità le disuguaglianze si accentuano e sempre si determina una sostanziale differenza in termini di ricchezza, impoverendo sempre di più le fasce a basso e medio reddito della popolazione che ha sempre sofferto in periodi di difficoltà di ampie ristrettezze economiche che finiscono per intaccare anche la cosiddetta Spesa Pubblica.
E così anche il Covid ha finito con il determinare una crescente carenza della domanda con un conseguente ed inevitabile impoverimento dell’economia e soprattutto di quei settori che vengono definiti non essenziali. A nulla è valso l’intervento tardivo e approssimativo del governo e a nulla sono valse quelle cosiddette misure di sostegno che sono state, e continuano ad essere, piccoli palliativi nel contesto di una problematica enormemente più grave.
Le chiusure di primavera e, quella di fatto che sta per determinarsi in autunno, divengono così l’elemento scatenante che trascina con se la moltitudine di soggetti che vedono il loro lavoro, le loro attività e il loro futuro, altamente a rischio.
Un impoverimento di massa che col tempo diviene ingovernabile. Ma cosa si sarebbe potuto e dovuto fare in epoca di pandemia?. Innanzitutto un mea culpa sulle carenze volute in questi ultimi 20 anni da tutti i governi nella sanità, carenze esercitate attraverso la progressiva riduzione di posti letto, la chiusura di piccoli ospedali, la mancata riforma della medicina territoriale, la gestione scellerata delle cosiddette aziende locali sanitarie. Ma la maggiore responsabilità è stata quella di non prevedere che una intera generazione di medici, infermieri, operatori sanitari, tecnici, che avevano occupato l’intero comparto sanitario negli anni settanta, sarebbe andata inevitabilmente, per limiti di età, in pensione lasciando così un vuoto difficilmente colmabile senza una adeguata programmazione. E oggi si corre ai ripari aumentando enormemente la spesa sanitaria necessaria per contenere la pandemia e dare risposte adeguate alla popolazione.
Nello specifico di spesa pubblica si assiste ad uno spreco di risorse proprio nella sanità, ancora una volta priva di una adeguata programmazione. Si incrementano i posti letti Covid a scapito di quelli ordinari, si aumentano le recettività delle terapie intensive senza assicurarsi di avere personale non solo sufficiente, ma adeguato a svolgere un compito così complesso quale quello del rianimatore e si implementano, con costi elevati, attività di prevenzione senza sempre una programmazione in particolare di quella medicina territoriale indispensabile filtro per l’ospedalità.
E così l’economia sanitaria subisce ancora una volta lo spreco di risorse in un momento in cui andrebbe organizzato l’intero settore.
Siamo in una situazione in cui è indispensabile la riorganizzazione dell’intero comparto della sanità che deve essere assolutamente scorporato dalla ingerenza politica ed affidato agli esperti, anche perché proprio in termini economici è impossibile parlare di azienda e quindi di utili di bilancio, quando è in gioco la salute del cittadino.
In tempo di Covid sono spuntati soldi, risorse e volontà di adeguamento alle esigenze del territorio e si è corso ai ripari in un tentativo, a dir poco inqualificabile, per sanare una antica sofferenza, per non dichiarare di aver sottratto soldi in quantità ad un settore che avrebbe dovuto crescere sia in termini tecnologici che di qualità. E si spende oggi quello che non si è mai speso per mantenere a galla ciò che la politica ha da sempre lasciato alla deriva delle Regioni.
Una spesa ancora una volta in emergenza della cui inutilità ci accorgeremo quando tutto sarà passato e ci troveremo a dover affrontare in termini di uomini e di costi una problematica la cui risoluzione impiegherà tempi lunghissimi e che richiederà una totale sovvertimento sia in termini di dirigenza che di qualità.