Sebastiano Cultrera – Il primo tepore, e gli odori e i colori della primavera ci circondano. Ma possiamo goderli solo alla finestra, o al massimo, nel limitato spazio del nostro terrazzo o del giardino. E guardare tutto ciò con gli occhi della nostalgia.
Con ben altri occhi Imur MARTINI guarda la natura nell’immagine che ha pubblicato, ripresa dalla finestra della sua casa a Bergamo (foto che mettiamo a corredo di questo articolo). A pochi metri da quegli alberi imperversa una delle più tristi e impari battaglie che una comunità abbia mai affrontato. Quella contro un nemico invisibile, piccolissimo (sulla punta di uno spillo ce ne stanno a centinaia) e molto aggressivo (contagia, mediamente, 4 persone, a partire da una; se lasciato libero). La signora MARTINI è una donna non più giovanissima che vive a Bergamo e che ama ricordare, in questi giorni di solitudine, e di paura collettiva, i bei giorni delle vacanze con amici e coetanei a Finale Ligure, e (data l’amicizia che, tra noi, si è sviluppata sul web) mi chiede spesso del rumore del Mare e delle bellezze della mia isola di Procida.
Molti (troppi) coetanei e concittadini di Imur MARTINI non andranno MAI PIU’ in vacanza al mare: né a Finale, né altrove. La comunità bergamasca è quella più falcidiata dal virus e lì, ma non solo lì, è andata persa, quasi per intero, una generazione di persone. E con essa è andata via molta della memoria, ma anche della saggezza e della forza morale della comunità.
Gli occhi con cui Imur MARTINI guarda la PRIMAVERA non hanno perso la speranza; ché quegli occhi hanno visto passare la vita con le sue tante contraddizioni. Tuttavia, inevitabilmente, quella primavera che ella si trova ad ammirare è troppo fredda: perché restituisce alcuni dei brividi glaciali della fine, e riempie il cuore di un triste INVERNO.
L’Italia ha vissuto, e sta vivendo, un dramma improvviso ed inaspettato, ma il Mondo sta vivendo il medesimo dramma, affrontato con tecnicalità e modalità più o meno simili ovunque, con efficacia più o meno rapida, ma con il medesimo comune denominatore: l’angoscia per la sopravvivenza propria e dei propri cari, l’incertezza di come sarà il Futuro. Ma nel quale auspichiamo, di ciascuno, in primis CHE CI SIA: che rimanga ancora con noi: VIVO!
Più di dieci anni fa mi risvegliai, dopo un difficile intervento ad una valvola cardiaca, in una terapia intensiva di un ottimo ospedale nella città di Novara. Molti, negli anni, mi hanno chiesto cosa si prova al risveglio, e a cosa avevo subito pensato. Ho sempre detto che ho subito pensato a mia moglie, a mia figlia e ai miei cari. Ma ho mentito. Certo sono state le prime immagini che ho avuto nella mente, MA SOLO UN ATTIMO DOPO che si accendesse la lampadina della coscienza. Che si accese pensando: SONO VIVO! E ricordo che, dopo qualche settimana, in riabilitazione, feci la prima passeggiata all’esterno, e la neve piemontese (era dicembre) mi sembrava un prato di fiori splendente più che in primavera.
Adesso dobbiamo tenere al primo posto la nostra esistenza. E la cosa principale, anche nel prossimo futuro della cosiddetta FASE 2, sarà quella di NON SCORDARCI che l’obiettivo principale è rimanere, comunque, AL RIPARO DAL VIRUS.
Oggi i fiori, fuori dalla finestra, sono bellissimi e invitanti; ma nel cuore permane quel fondo d’angoscia che non è solo conseguenza della forzata clausura, ma è compartecipazione al dramma collettivo, che porta a confondere l’albero di fronte con quello di Imur MARTINI e degli abitanti di Bergamo che vivono un dramma cogente, incombente.
E allora, quei tanti colori variopinti che i nostri occhi percepiscono si attutisce nella scala di grigi che domina il nostro cuore. Dobbiamo provare ad aprirci alla speranza e farlo insieme. Credo che noi umani dovremmo imparare dall’armonia degli ALBERI e dei fiori che dialogano a distanza: dalla natura mediterranea dell’isola di Procida fino alle colline e montagne del bergamasco.
Uniti, tutti, da questa “fredda” primavera, gravida di un incerto futuro.